- “u stagnataru”: ricopriva di stagno l’interno dei calderotti di rame.
- “u scarparu”: riparava le scarpe rotte e fabbricava le nuove.
- “u cartiddaru” : fabbricava le ceste con i rami di salice e con le canne spaccate.
- “u vardaru”: costruiva e riparava varda e sidduna per i muli;le prime erano usate per trasportare i carichi, le seconde erano selle per le persone.
- “u biciclittista”: affittava le biciclette.
- “u uttaru”: costruiva le botti del vino, assemblando i listelli lignei curvi con cerchi di ferro.
- “u carbunaru”: produceva il carbone facendo cuocere a fuoco lento grossi ceppi di legno ammassati sotto terra.
- “u carcararu”: produceva la calce nella carcara (fornace).
- “u firraru”: fabbro-ferraio, arrotino. Se maniscalco espletava pure attività di medico veterinario.
- “u varberi”: barbiere e factotum del paese, specialistain medicature,fratture,ferite, estrazione di denti e salassi con sanguisughe.
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“u abbanniaturi”: avvisatore o banditore pubblico; professione antica presente fino agli anni ’60. Era un impiegato comunale (nel 1861 riceveva L.150 annue). Al suono di una campanella e generalmente all’ora dell’Ave Maria percorreva le strade del paese per informare i cittadini dell’ attività dell’amministrazione comunale. Gridava così: ”all’ordini ru guvernu, s’avverti a popolazioni: rumani assira o municipiu c’è a riunioni…..”. Svolgeva pure prestazioni su richiesta di privati per il ritrovamento di oggetti smarriti e per la giusta riappropriazione di quelli trovati. In tal casi abbanniava cosi: “a cu ha truvatu un portafogghui….purtatilu a….ca u persi, ca c’è na ricunpensa (un biccheri ri vinu)", “a cu a persu…purtati u signali ca vu ramu”. Il paese ancora ricorda l’ultimo banditore pubblico: u ‘zzu Giorgio Sant’Ancilu
- “barista”: famossissima era "Donna Betta" perché era specializzata nell’aromatizzazzione con gocce di zammù (anice) dell’acqua che gli altofontini con boccali riempivano alle fontane.
- “produttore e venditore di ghiaccio”: otteneva il ghiaccio pressando la neve e coprendo con molti strati di paglia dentro alcune fosse naturali presso le vette del monte Moharda.
Venivano in paese maestranze richieste per quei beni e servizi la cui domanda era periodica; erano gli ambulanti, sempre uomini, che a piedi o su asinelli o su carretti percorrevano le strade pubblicizzando la propria merce con grida, che per la loro musicalità suggestiva somigliavano alle antiche nenie arabe. Con loro portavano bilance, stadere, e gli altri strumenti indispensabili per le riparazioni ed eventualmente le merci da scambiare.
Si ricordano, oltre agli addetti all’opera dei pupi e agli svaghi:
- “u consalemmi”: conciabrocche. Riparava i piatti, le pentole rotte, le brocche cui mancava il collo… portava con sé il trapano ad archetto, la pietra molare e il ferro con cui cuciva gli oggetti.
- “u siggiaru” : riparava le sedie.
- “u paracquaru” : riparava gli ombrelli.
- “u siminzaru” : vendeva in occasione delle feste semini di zucca salate, ceci e fave abbrustolite.
- “u venditore di basilico”: “u basilicò” era il suo grido.
- “u compratore di stracci”
- “u compratore di murìa”: residui dell’olio vecchio utilizzato altrove per produrre sapone molle.
- “u compratore di ferro vecchio da riciclare”
- “u compratore di capelli”: periodicamente tale commerciante veniva in paese a scambiare con bambole o con piccoli oggetti di merceria (rocchetti di filo per cucire, bottoni…) i capelli raccolti ogni mattina dalle donne.
- “ addivina-vintura”: la sua periodicità era settimanale e la sua competenza “divinatoria”. Il desiderio di “altro” spingeva i suoi clienti a sfidare la fortuna. Dentro una gabbietta teneva un uccellino che col becco afferrava da una cassettina i bigliettini su cui erano scritti dei messaggi.
A Carnevale qualche altofontino parodizzava tale mestiere e conciandosi a quel modo, nella gabbietta al posto del grazioso volatile teneva un brutto topo. |