Ottobre 9, 2024

La presenza dei primi insediamenti urbani nel territorio di Altofonte si può far risalire ad un epoca compresa tra il XVIII e il XV sec. a.C.(età del bronzo). Infatti nel 1881, l’archeologo Antonio Salinas effettuando un saggio di scavo sul versante nord-est della Moharda, in località Cozzo di Castro, riportò alla luce diversi vasi risalenti proprio all’età del bronzo. Si tratta di manufatti in ceramica indigena assimilabili a quelli della coeva e limitrofa cultura della Conca d’Oro.

A una epoca più tarda risale invece il materiale archeologico ritrovato nell’area di Cozzo Paparina. Questo insediamento si sarebbe sviluppato a partire dal secolo VII a.C. fino al III secolo a.C. Sembra che il sito sia stato un punto strategico-militare di notevole importanza per la Sicilia occidentale e abbia conosciuto due fasi di sviluppo.
La prima, tra i secoli VII e IV a.C., per l’influenza delle due città fenicio-puniche più importanti della zona, Panormo e Solunto e la seconda, tra il IV e il III secolo a.C. per l’influenza dell’impero Cartaginese e sotto il diretto controllo di Panormo.
Cozzo Paparina tornerà ad essere frequentato nel XII secolo d.C., probabilmente come casale nel territorio di Monreale e proprio in concomitanza con il nascere del Parco Normanno. Questo territorio, infatti, fu uno dei parchi di caccia impiantati dai re normanni attorno alla capitale del loro regno nel XII secolo, ed in particolare fu quel Parco Nuovo che Ruggero II fece costruire dopo la ristrutturazione del Parco di Maredolce, ossia del Parco Vecchio, già proprietà dell’Emiro Giafar. In questo splendido parco di caccia, che da una posizione fortemente strategica consentiva di controllare la via di accesso naturale a Palermo dalla Val di Mazzara Ruggero II fece costruire un palazzo per la sua villeggiatura. Scelse per questo suo luogo di delizie, nato per soggiornarvi con il suo seguito durante i periodi estivi di riposo o di caccia, un punto eminente e panoramico, presso una copiosa sorgente chiamata Altofonte. A un chilometro dal palazzo, all’imboccatura della Valle di Fico (nella contrada detta “Biviere”), Ruggero II fece innalzare robuste mura rivestite di cemento idraulico, le quali raccoglievano le acque della valle in modo da formare un laghetto o “vivarium”, dove furono immesse rare specie di pesci e dove si realizzavano gite in barche e naumachie.

Federico d’Aragona nel 1306 trasformò il palazzo reale in monastero e lo donò ai monaci circestensi, fatti venire qui da Barcellona (Spagna) con la finalità di rendere questo territorio una campagna fertile e produttiva, ma soprattutto controllata dai pericoli provenienti dalle popolazioni interne dell’isola, e in ciò i monaci, per fedeltà alla Corona, meglio rispondevano a tale esigenza. Inoltre la funzione delle grandi abbazie era quella di controbilanciare il potere feudale dei baroni; esse erano rappresentate nel Parlamento del Regno e anche l’abate di Santa Maria di Altofonte faceva parte del braccio ecclesiastico del Parlamento. In conseguenza il castello di caccia normanno, viene profondamente trasformato. Inoltre il Re arricchisce il nuovo convento in maniera trasformarlo in una vera baronia, come ci testimonia il privilegio redatto Messina il 28 giugno 1307 e20 gennaio 1309. Egli, infatti, non solo dota con larghezza il monastero, ma concede altri due privilegi ed ancora la facoltà delle genti familiari del monastero di portare”armi vietati” e di fabbricare fortilizio nel Casale di Sala di Partitico, che già appartiene al Monastero. Ciò crea un vero rapporto feudale tra l’Abate Altofonte ed il Re, tanto da sembrar logica la ragione di ennesimo privilegio concesso: quello cioè di far parte del Parlamento quale membro del braccio ecclesiastico presieduto dall’Arcivescovo di Palermo. Questa strategia è logica, perché nel rapporto feudale il clero meglio risponde per fedeltà al re, ed anche perché esercitando o per sé o per gli altri la cura delle anime esso possiede gli strumenti più idonei a calmare gli spiriti e soffocare i primi passi verso una liberazione. In conseguenza di ciò, i primi abitanti di Altofonte, coltivando le terre in parte a nome dei Romani Pontefici, in parte a nome di San Benedetto ed indirettamente pagano il tributo al re. Così prospera il convento per quattro secoli, e s’ingrandisce l’agglomerato urbano.

Restauri e trasformazioni si hanno successivamente ad opera del Rev.Don Paolo Potenzano; nel 1568 ad opera di Scipione Rebiba, abate del Parco, ed infine la ricostruzione del tempio voluta dal Cardinale Scipione Borghese, come del resto attesa lo stemma con la scritta sul frontone della Chiesa Madre di Altofonte. Alla morte del Barlotta, nel 1764 non fu più eletto l’abate di Santa Maria di Altofonte e fu invece istituita, nel 1768, dall’Arcivescovo di Monreale, la parrocchia omonima. L’amministrazione dell’abbazia fu invece tenuta dal Tribunale del Real Patrimonio che passava alcune rendite alla nuova parrocchia di Parco. Successivamente, tra il 1799 e il, Ferdinando III aggrego il monastero alla Commenda della Magione di Palermo. La parrocchia di Santa Maria di Altofonte ebbe come primo Parroco il Sac.D. Vincenzo Giancola dal 1768 al 1771. Tra i molti parroci che si succedettero a Parco, doveroso ricordare il Rev.D. Bartolomeo Gioito che fu Parroco dal 1771 al 1810 e che raccolse una somma di denaro tra gli abitanti del paese per scolpire una statua di S. Anna in legno; è importante ricordare questo avvenimento perché questa Santa divenne da allora la protettrice del paese.

Nella fase in cui l’abbazia era stata retta in commenda (come un vero proprio feudo) da personaggi appartenenti alla nobiltà ecclesiastica e laica, e quindi estranei ai monaci cistercensi, molti beni di proprietà dell’originario Monastero erano stati concessi in enfiteusi. Ora, in questa fase che segna la fine dell’abbazia e il passaggio dei suoi beni al Real Patrimonio, prima, e alla Commenda della Magione poi, molti beni divennero proprietà privata; ciò soprattutto a seguito dei moti dei moti del 1812 e dell’abolizione della feudalità, che favorì lo svincolo della proprietà dai soprusi signorili. Questa fase di trasformazione della struttura proprietaria da feudale a moderna riprese vigore con un Decreto Reale del 1841. Non fu la tanto auspicata (dai contadini) riforma agraria, ma segnò la fine di tanti abusi e pretese feudaliche che, nel nostro caso, esercitavano gli abati commendatari di Altofonte. Molti beni di una certa consistenza, chiamati per l’appunto ex feudi, appartenenti all’originario monastero passarono nelle mani di poche ricche famiglie. Tra queste: gli Alimena-Caruso e successivamente gli Orestano, che costruirono l’omonima villa nella contrada Orestano; i D’Antoni, proprietari di buona parte del territorio a valle del centro abitato, che costruirono l’omonimo palazzo che si trova in cortile D’Antoni (interessante per il giardino posto alle sue spalle, in prossimità dell’antico acquedotto del Parco e della Fontana grande), i Moncada, principi di Villafranca, e successivamente i Vernaci, che costruirono l’omonima villa oggi in corso dei Mille n. 75. Tutto ciò portò a una trasformazione della struttura urbana e dello stesso territorio.

Agli inizi dell’Ottocento nacque anche il comune di Parco, come ci testimonia il Questionario posto con circolare del 28 settembre 1829 a tutti i Comuni siciliani e che anche il nuovo comune di Parco compilò (il documento originario è conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo), Fondo Direzione Centrale di Statistica, B.156 bis, stato pubblicato da A. Casamento in “La Sicilia nell’800”, Palermo 1986): le risposte al questionario, sottoscritte dal Sindaco Ignazio Alotta, dal Rev. Parroco Francesco Manuli, e da P. Gargotta R. G., sono di un certo interesse e testimoniano come il territorio del comune di Parco fosse allora molto ridotto. La intera circonferenza ascende a miglia sette circa siciliani. Secondo la misura antica colla corda di 18,2 la superficie del territorio ascendeva a salme 217. Secondo la misura legale oggi in vigore a salme 262.13.1, inoltre esso era circondato interamente dal territorio di Monreale, definito con il nome di diversi ex feudi oggi in parte ricompresi nel suo territorio, come quello della “Moharda” con la contrada del “Biviere”, quella di “cozzo di Castro”, quella di Suvarelli e quella di “fiume lato”.

Il comune sicuramente con tante contraddizioni cominciò costruire una struttura amministrativa in una società che, qui particolarmente, era ancora di tipo feudale. In questa fase avviene la spedizione dei “Mille” per l’unificazione dell’Italia alla quale parteciparono numerosi “parchitani” come testimoniano le fonti storiche. Garibaldi giunse e sostò proprio a Parco tra il 21 e il 22 maggio 1860, e venne ospitato dai Vernaci nella loro villa, mentre le truppe si accamparono sulla collina del Calvario e di Cozzo di Castro, in attesa dell’attacco finale su Palermo (vedi anche Obelisco a Garibaldi). Le vicende tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento sono molto concitate e controverse; probabilmente avviene in questa fase uno scontro tra modernizzatori, aspiranti ad una società più giusta, da un lato, e difensori piccoli e grandi di interessi particolari derivanti da antichi retaggi feudali o da volontà di primeggiare sugli altri con la violenza (mafia), dall’altro. Tra gli aspetti positivi ricordiamo la sindacatura di Domenico Vernaci che alla fine degli anni ’80 del 1800 difende l’uso pubblico delle acque nei confronti dei proprietari dei mulini. In questa fase nasce la Biblioteca Popolare (1888) intitolata a Giovanni Vernaci, benemerito insegnante defunto (essa fu fondata da trenta soci che versarono ciascuno 25 centesimi,e conteneva già allora 1000 volumi). Lo sforzo di alfabetizzazione della popolazione continua con la costruzione dell’edificio scolastico (attuale Municipio, che prima aveva sede nel palazzo Bonomolo, in via Macello, oggi via IV novembre); sotto la sindacatura di Donenico Vernaci se ne deliberò la costruzione (19 gennaio 1887) che venne eseguita su un progetto dell’ingegnere Giuseppe Maccagnano e inaugurata il 3 giugno 1894 (come riporta una lapide posta all’ingresso dell’edificio). La scuola costò L. 122.000 e il comune, per la sua realizzazione, contrasse un prestito con la Cassa Depositi e Prestiti; la somma pagata per il mutuo era inferiore e quella pagata per l’affitto di vecchi locali disadatti e antigienici. Il primo Direttore fu Vincenzo Franzitta che nella sua “Realizzazione sulle scuole del comune di Parco”(Palermo, 1910) narra che “l’edificio sorse per l’energia dell’amministrazione comunale del tempo che seppe superare innumerevoli difficoltà a causa del malvolere di pochi e della diffidenza del popolo ignorante”. La scuola fu molto frequentata, e anche i corsi serali videro la presenza di numerosi analfabeti (anche perché esse davano il diritto all’ iscrizione nelle liste elettorali e politiche). Nell’ultimo decennio dell’ottocento in tutta la Sicilia, ed anche a Parco, si diffondeva il movimento dei fasci siciliani dei lavoratori, di ispirazione socialista e riformista, era costituito da contadini, braccianti, operai, piccoli commercianti ed artigiani. La sezione di Parco di questo movimento fu costituita nel 1893 e contava circa 400 iscritti. Diverse e coraggiose furono le rivolte organizzate per rivendicare le terre da coltivare ed opporsi al continuo aumento del prezzo del pane. Tale movimento fu fortemente osteggiato dalla classe terriera e sotto il governo Crispi (1894) represso con la forza (furono arrestati i principali esponenti chiuse le Camere del lavoro,fu messo al bando il Partito Socialista).Ma alcune spinte riformiste continuarono a produrre i loro frutti. Il 2gennaio 1899 venne fondata, su impulso dello stesso Domenico Vernaci, la Cassa Rurale di Prestiti del Parco, che rappresentò un interessante esempio di mutuo soccorso tra le classi lavoratrici e produttrici di allora, non a caso nasce dal contributo di un possidente illuminato come Domenico Vernaci (la famiglia Vernaci era nota in Sicilia anche per i vini pregiati che venivano prodotti dai vigneti Frassinello in contrada Rebuttoni) e da diversi piccolo proprietari e contadini. Domenico Vernaci fu il primo Presidente della Cassa Rurale, in un periodo in cui non fu più Sindaco, fino al 1916, quando morì. La Cassa Rurale di Prestiti del Parco ebbe il merito di raccogliere i risparmi locali e di erogare del credito con tasso oscillante tra il 5 e il 7 per cento, costituendo un argine forte al dilagare dei fenomeni promuovendo altresì forme di cooperazione di consumo-vendita con l’acquisto di prodotti e strumenti per l’agricoltura, concorrendo a calmierare i prezzi dei prodotti di prima necessità, sviluppando attività di mutuo soccorso. A partire dal 1923 essa contribuisce, con appositi prestiti ai contadini, alla creazione di piccole attività agricole, attraverso l’ acquisto dell’ex feudo dello Strasatto. Nel 1930 Parco cambiò nome (Regio Decreto n. 189 del 26 febbraio 1930) e, data la sua ricchezza di acque e la sua storia collegata a quella dell’abbazia di Santa Maria di Altofonte, fu chiamato, per l’appunto Altofonte. Anche la parrocchia ,con decreto dell’Arcivescovo di Monreale Filippi datato 2 luglio 1930, cambiò la sua denominazione in “Arcipretura di Santa Maria di Altofonte”. Degli anni trenta sono da ricordare i lavori, mai completati,per la costruzione della linea ferrata a scartamento ridotto Palermo-Camporeale, che e testimoniata dai numerosi manufatti (ponti,gallerie, caselli, stazioni). Altofonte vede il passaggio tra il ventennio fascista e la Repubblica senza particolari scossoni politici o sociali; dopo il passaggio degli alleati diventa primo Sindaco F.P. Di Carlo, già capo della sezione della sezione fascista e podestà, nonchè Presidente della Cassa Rurale dal 1937 agli anni ’50. Il resto è storia e cronaca dei nostri giorni. L’acqua, quindi è alla base dell’insediamento originario di Altofonte e ancora oggi rappresenta la sua risorsa principale. Dal suo sapiente uso deriva la fertilità delle campagne circostanti, che scendono a terrazze verso l’Oreto, la presenza di antichi manufatti quali i mulini, le saje, le gebbie, i casali, i beveratoi e il pittoresco mormorio delle fontane e fontanelle presenti nel centro abitato.

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